Thursday 2 October 2008

Omologazione italiana

13 febbraio 2005 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe/Italians,
leggo la risposta alla lettera sui «motivi per non tornare in un bellissimo posto» (Carlo Santulli, 24 gennaio). Concordo quasi su tutto: il posto è bellissimo, il cibo non lo batte nessuno e il vino è buono (nel giro di un paio d’anni siamo una nazione di sommelier, mi pare di capire). Tuttavia, che i modi siano piacevoli e la gente stimolante mi sembra un falso mito. Che l’italiano sia un po’ maleducato lo si vede da tutte le cose che non funzionano, dall’impiegato indolente al cittadino o utente menefreghista e irragionevole. Lo si vede dagli schiaffi che ci si tira in TV e dai politici ed elettori su cui non ho bisogno di dilungarmi. Stimolanti? Nel luglio 2003 sono tornato in Italia per sei mesi con una gran voglia di restarci. Uno dei motivi che mi ha incoraggiato a ripartire è che la gente mi diceva davvero poco. In Italia ci vestiamo bene ma tutti uguale. Allo stesso modo abbiamo i nostri forti e bei caratteri, ma le tipologie sono poche, ben preconfezionate, autorigeneranti e soprattutto noiose. Penso che le nostre strutture di crescita educativa e professionale ci rendono monotoni se vogliamo avere un’opportunità minima di successo, penso agli anni per laurearsi o per fare un concorso pubblico o per passare un esame professionale dopo anni di sfruttamento da praticante. E’ vero, secondo me ci sono persone meglio erudite che nella maggior parte dei Paesi europei. Se poi c’è abbastanza apertura, quell’erudizione diventa cultura sopraffina, ma non è la norma. Se guardo alla mia generazione (ho 33 anni), le cosiddette persone di successo in Italia (oltre a vivere ancora con i genitori) sono tutte persone a senso unico. Ingegneri dentro e fuori, notai dentro e fuori, accademici dentro e fuori, e così via. Non interessanti, ma pieni di schemi e prosopopea alle quali non sanno resistere neppure loro. Io cerco di prendere il meglio di questi due mondi tra la gente e il bel lavoro di Londra e il mare di casa mia vicino Napoli. Lo faccio e ci soffro perché a tornare non sopporto di sopportare. Poi mi pongo una domanda: dove farei crescere i miei figli? Come farò a far sì che un uomo/donna abbia l’opportunità di esplorare il mondo e le proprie potenzialità conservando dentro un così forte senso di origine? Niente illusioni però, il meglio di ciò che abbiamo non ce lo siamo guadagnati. Saluti da Londra.

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