Thursday 6 November 2008

Obama Presidente

Obama Presidente, mi viene in mente la notte del primo causcus quando l’ho sentito parlare per la prima volta su youtube e sono rimasto entusiasmato dal messaggio di quest’uomo. Bisognerebbe fare attenzione a quello che succede in questi giorni perche’ la realta’ mostrera’ colori veri. Un presidente e’ eletto a grande maggioranza e wall street perde parecchio: sono gli avidi e coloro che giocano al denaro facile ad essere preoccupati. Perche’ il paese piu’ potente nel momento in cui rischia di perdere il suo primato davanti all’avanzata dell’Asia ora sceglie la speranza al di sopra della paura. L’essenza piuttosto che l’illusione. C’e’ molto da imparare da questo popolo e soprattutto dal fatto che la democrazia dal basso e’ ora computazionalmente possibile. E’ un peccato che in Italia questo l’abbia capito solo Grillo, contestabile ma volontariamente (e quindi ingiustamente) ignorato.

Saturday 4 October 2008

Le 7 del mattino a Londra

Sul cemento dei marciapiedi si esegue spontaneamente una sinfonia di tacchi a cui manca una frequenza, quella dei miei passi: sento l’urgenza di aggiungerli per completare la composizione. Cielo freddo e azzurro, fuori dalla casa calda di mia moglie e mio figlio respiro al mattino l’aria affilata della citta’ di Londra. Un attimo dopo sono nel flusso che da Fulham confluisce verso gli snodi del trasporto urbano. Sul piano superiore dell’autobus mi siedo per immergermi nella lettura o per fissare lo stesso fenomeno che da sinfonia diventa film muto. In metro e’ piu’ difficile leggere ma obbligatorio scrutare la gente che popola un film non solo muto ma anche immobile. Gli unici suoni provengono da qualche ipod a volume troppo alto e gli unici movimenti sono onde dettate dal moto del vagone. Mi chiedo come ondeggino invece i pensieri di ogn’uno, come sibilino insieme ai freni sul metallo i sogni e le ambizioni di donne ed uomini che si sentono (a torto o ragione) nel cuore della civilizzazione. Stringo verso di me il mio libro e mi aggiungo alla schiera di presbiti forzati che leggono in ogni condizione. Giunto a destinazione, dopo un cambio a Westminster sono a London Bridge. Le persone escono in fila accolte da passeggeri schierati ai lati delle porte che sperano di entrare a prender posto. Comincia la marcia verso l’ufficio. A guardarli cosi tutti ordinatamente e seriamente immersi nei propri pensieri, qualcuno ha visto un funerale. Salgo per le scale mobili della metro, a volte sulla sinistra a passo svelto per mettere in moto corpo e spirito. Altre volte fermo sulla destra a fissare i volti di quelli che discendono nel dedalo del trasporto sotterraneo immaginando quello che di grande ed unico c’e’ in ciascuno di loro. Cielo freddo e grigio, sono fuori dalla stazione, l’aria mi graffia di nuovo i polmoni, e’ ora di andare a fare qualcosa di buono.

L'Italia e la crisi bancaria

Sulla solidita’ del nostro sistema bancario ed economico si sprecano i complimenti. Il presidente del consiglio si lancia in demagogiche rassicurazioni. Poi non si spiega perche’ se i danni per l’Italia sono contenuti ci sia bisogno di rassicurarci dicendoci che saremo protetti da fantomatici assalti. E’ sulla falsariga del discorso Alitalia: “vedete, ci penso io!” e bisogna ammettere che l’ha fatto magistralmente col minimo input e lasciando l’opposizione a sbrigarsela con la faccenda delle firme. Intanto la tassa d’imbarco e’ stata aumentata e per salvare Alitalia paghiamo noi, quelli non proprio soddisfatti del servizio: bella sola, e’ solo l’inizio.
Che l’Italia si basi sul patrimonio e non sul reddito e che questo ci renda resilienti sono anche d’accordo. Che nel mondo anglosassone l’ossessione col cash flow abbia creato certe speculazioni di banchieri furbacchioni e che cio’ abbia insanamente arricchito orde di giovani bankers spesso ignari ed inevitabilmente impreparati a colpi di bonus milionari, non ci piove neppure. Ciononostante credo che stiamo ancora perdendo la partita soprattutto in uno scenario globale che include Cina ed India. La mentalita’ del patrimonio ha due effetti collaterali forti di cui il nostro Paese soffre enormemente e che sono peccati capitali nell’economia globale:
1. I soldi sono dei ricchi e restano ai ricchi: non c’e’ avvicinamento di opportunita’ perche’ le banche finanziano i vecchi gattoni per comprare le aziende di stato ma non i giovani che hanno buone idee. Quelli li finanziano la comunita’ euorpea ed il governo a fondo perduto per progetti spesso fantasma, costruiti a tavolino e dietro i quali c’e’ qualche gattino aspirante gattone di cui sopra.
2. L’innovazione che e il metodo piu’ forte per contrastare la produzione low-cost e’ assolutamente a zero. Non abbiamo preso l’onda dell’informatica ne quella di internet e tantomeno quella ambientale: cosa aspetta la Fiat a fare un modello ecologico piu’ avanzato delle Toyota?
Insomma, siamo alle solite e la cosa grave e’ che tra governo ed opposizione non si vede via d’uscita. Forse e’ proprio vero che il nodo e’ l’informazione: se e’ vero che solo il 25% della popolazione sa cosa sia il Lodo Alfano, siamo fregati. Se con l’informazione strumentalizzata al voto si crea l’aria nauseabonda di razzismo in un Paese come il nostro, siamo al medioevo. Se la sinistra non impara a “fare” con l’efficacia della destra, l’alternanza dei governi e’ solo un piccolo miglioramento della democrazia che assolutamente non ci basta.

Thursday 2 October 2008

Alitalia: meglio il fallimento, ormai

25 settembre 2008 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe ed Italians,
seguo il dibattito Alitalia e sento questo coro di buonsensisti che asseriscono quanto la cosa peggiore per tutti sarebbe il fallimento. Ma ne siamo convinti? Sembra quasi che il fallimento abbia un senso solo per chi vorrebbe dare una sonora sberla al presidente del Consiglio ed al governo dei risultati. A me pare che con la sospensione delle norme antitrust e con la struttura della Cai + bad company non si fa altro che perpetrare oltre le logiche che hanno portato Alitalia ad essere quello che e’. Ma vi immaginate cosa ne verra’ fuori? Ma veramente pensate che migliorera’ la produttivita’ con un assetto del genere e tutto il risentimento che l'accompagna? La cordata lo sa e forse spera di non dover essere chiamata di nuovo a salvare la patria. Posso avanzare l’ipotesi peregrina che con un fallimento potrebbe succedere una cosa molto semplice? Si creera’ un enorme vuoto nel trasporto aereo in Italia. Ci saranno decine di migliaia di persone qualificate (ok, non tutte ma mi sembra ormai inevitabile) che possono essere utilizzate per riempire quel vuoto... Il trasporto aereo non e’ un cattivo affare, potrebbe nascere una nuova compagnia aerea italiana (Ncai?) che dalla svendita degli asset Alitalia potrebbe comprare i diritti del brand (Nalitalia?). Magari s’ingrandisce un po’ Air One e (ok) ne approfittano alcuni vettori esteri: dicesi mercato aperto e concorrenziale che non nuoce troppo a nessuno, soprattutto a lavoratori (se lavorano bene) e utenti (se hanno effettiva scelta). Farebbe invece male e tanto alle caste di alti dirigenti e privilegiati di vario rango. Per intenderci, quelli che rovinano il Paese, inclusa Alitalia. Con immutato affetto per i simboli italiani.

Napoli e' l'Italia al cubo

26 luglio 2008 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
c'è chi odia l'Unità d'Italia e chi si domanda se ritenere o meno Napoli una città italiana. "Se Napoli e il sud sono indietro è colpa loro". Fondamentalmente concordo, è colpa nostra (sono della provincia di Napoli). Vero è che l'offerta di tumulare immondizia e soldi sporchi hanno trovato una domanda ben nutrita nel resto d'Italia e altrove senza la quale certe cose non sarebbero successe. Ma fondamentalmente ce lo siamo lasciati fare. Non sono d'accordo però sul fatto che Napoli sia indietro. Proprio così, secondo me il guaio vero è che Napoli è avanti. Da sempre. Perché lì succede fino alla caricatura e manifesta i suoi futuri effetti il peggio della corruzione italiana. A Napoli la fuga delle leve migliori verso il nord e l'estero esiste da molto prima che diventasse un fenomeno così diffuso. Oggi? La legge per sistemare i portaborse è stata approvata in Veneto, mica al sud. Magari da noi certe cose sono successe prima (abusivismo edilizio, invasione di immigrati clandestini etc.) ma sono le stesse cose che affligono l'Italia tutta secondo gli stessi meccanismi e lo stesso filtro culturale. Insomma, Napoli dovrebbe essere presa come un allarme, un precursore, un presagio di catastrofe che potrebbe diventare più diffusa. Lavorare per Napoli significa tenere viva la speranza di un'Italia che cresce attraverso la sua storia democratica piuttosto che col prossimo disastro. Il nostro Paese ha bisogno di una catarsi. Bettino Craxi (scusatemi se lo scomodo) disse in Parlamento apertamente quanto il corrotto sistema delle tangenti fosse endemico e normale. All’epoca gli costò l'esilio, non poteva essere altrimenti. Oggi siamo ricaduti nella negazione dell'ovvio e nell'illusione che gli equilibri superiori giustificheranno ogni mancanza di integrità. Questo è molto grave e ci porterà al baratro se non s'interviene. Guardate a Napoli con durezza e compassione perché Napoli è più che Italia. Napoli è 'iper-Italia'. Napoli è l'Italia al cubo.

Dopo il fascino, la decadenza (se non cambiamo)

29 maggio 2008 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
ascolto e voglio abbracciare la plausibile accusa di eccessivo criticismo di noi Italians all'estero. L'Italia ci manda "in bestia e in estasi nel giro di venti minuti e nel raggio di duecento metri". Per chi si ricorda "Quelli della notte" diceva Catalano "e' molto meglio lavorare poco ed essere ricchi che sgobbare in povertà". La favoletta della bella Italia che si salvera' sempre prende sempre piu' quei connotati caricaturali: ma siamo davvero sicuri di volerci innamorare di questa immagine? I fatti straordinari non ci danneggiano perche' ne parlano i laboriosi emigranti e neppure quelli faccendieri. La maggior parte sono fatti eclatanti che non succedono altrove, ed alcuni per fortuna sono denunciati da pochi come Travaglio/Saviano/Rizzo-Stella/Grillo. E' inaccurato dire che gli stranieri eviterebbero l'argomento delle nefandezze casalinghe: Michael Moore? Al Gore? Gli stranieri denunciano se stessi col disdegno che la questione merita, ed al punto che di fronte alla corruzione oltre alla faccia la gente ci perde sia il lavoro che la liberta'. Sono d'accordo pero' che bisogna smetterla di buttare fango e basta, perche' la posta in gioco e' alta. Il rischio e' che l'Italia diventi un paese come l'Inghilterra o il Belgio, che va bene se sei l'Inghilterra o il Belgio ma non per noi. Provo a metterla alla Catalano ma non e' una caricatura: "e' meglio essere un paese affascinante e funzionale che impersonale ed efficiente". Se la musica non cambia, al nostro fascino seguira' la decadenza, e nel riprenderci diventeremo come gli altri. Se non si passa per decisioni che sorgono dalla denuncia e riparazione di una parte di cultura corrotta del nostro paese, rischiamo di appiattirci. Bisogna cambiare per restare non "come" ma "quel che" siamo. Tornare per aiutare invece di criticare? Ci ho provato piu' di una volta, e cosi' tanti emigrati. Riproveremo, statene sicuri. Se non ce la faremo in questa vita, ci proveranno i nostri figli che educhiamo ogni giorno ad amare l'Italia.

I leader autorevoli finiscono ammazzati tra la folla

4 gennaio 2008 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe e cari Italians,
come mai neppure una lettera sull'assassinio di Benazir Bhutto? Mi sono trovato in Italia (risiedo normalmente in Inghilterra) per il periodo festivo quando l'evento e' accaduto. Devo dire che sebbene si siano fatti servizi speciali e tutti i telegiornali avessero come prima notizia e per diversi giorni l'assassinio, la notizia non sembrava attecchire ed ogni tentativo di parlarne con amici e parenti finiva nel vuoto per benevolo disinteresse. Il giallo di Perugia e perfino Alitalia aiutano meglio per attaccare bottone coi commensali. Triste. Ancora piu' triste che mentre scrivo vedo che sul Corriere online c'e' una foto del figlio diaciannovenne della Bhutto con il suo record su facebook e quello che dicono le ragazzine di lui "e' sexy, non uccidetelo": magari quello fa presa. Benazir Bhutto era per me un esempio di coraggio e di leadership illuminata sebbene certe accuse mai provate (e per cui in Italia ti fanno come minimo ministro) la perseguitassero e sebbene fosse l'espressione di una successione quasi monarchica della leadership in un paese in via di democratizzazione (o cosi' pareva). Io guardo con attenzione ai leader mondiali e mi scoraggia vedere i Putin e i Bush crescere e moltiplicarsi mentre ogni esempio di leadership che vive i valori democratici nonostante autorita' prepotenti venga mortificato o in qualche modo eliminato. I leader autorevoli finiscono ammazzati tra la folla.

Risposta di Beppe Severgnini: E' vero. Pochissimi commenti sull'argomento: il mio, e qualche lettera isolata. Per un forum internazionale come "Italians", è sorprendente.

I brutti non possono avere bei gusti?

15 giugno 2007 - Italians, Corriere della Sera Online

Brutti! L'ossessione con la bellezza mi inorridisce...voglio dire una cosa banalissima: ma allora se uno e' "brutto" o "brutta" non puo' avere bei gusti? Certo, certo, innegabilmente avra' piu' difficolta' a soddisfarli. Eppure io vedo ragazze e ragazzi "belli" assolutamente inattraenti o personaggi pieni di difetti e difettucci fisici ma pieni di una carica attrattiva da fare invidia a modelli e modelle (o calciatori e veline, se preferite). Trovo persino la parola "brutto" molto attraente, a differenza dell'inglese "ugly" che e' veramente orrendo. Insomma, senza scadere nelle solite cose del tipo "l'amore e' cieco", o senza voler scomodare figure iconiche come "la brutta simpatica", io davvero trovo che la bellezza individuale abbia tanto ha che vedere con il sentirsi bene con se stessi e con gli altri. Portato all'estremo, ho imparato ad ammirare intellettivamente alcune coscione inglesi che sprezzanti del pericolo indossano minigonne al limite della cintura a falda larga con leggiadria e liberta': altro che femminismo - un calcio al buongusto ogni tanto mette le cose in prospettiva, meglio in discoteca che in Parlamento, no? Certo e' dura quando la TV ti bombarda con eunuchi stranamente barbuti e sofisticate anoressiche di corpo e maggiorate di petto... le chiamero' le "maggioressiche". Riflessione: a vedere le soap opera inglesi, gli attori sono persone normali... anche al Grande Fratello non e' che ci siano 'sti gran pezzi di ragazzi e ragazze: insomma, la cultura di "inclusiveness" dove ogni fenomeno di massa riflette la composizione media non dovrebbe interessare solo l'eta', il sesso e la razza, ma anche l'aspetto. Sentito che un negozio americano a Londra e' stato denunciato per assumere commessi sulla base dell'aspetto fisico? Altro che sindacati di categoria! Cordiali saluti.

Una Nazionale che tira fuori l'orgoglio

18 giugno 2006 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe e cari Italians,
un pensiero che volevo condividere sulla nostra squadra nazionale di calcio. Forse abbiamo più speranze di quanto credessi. I ragazzi sono forti come sempre, ma mai come prima tengono la testa bassa, concentrati sul lavoro e con un senso di orgoglio da ritrovare. Sarà un po' per gli scandali e un senso generalizzato di dimostrare di valere? Anche il commento sui connazionali in Iraq e quel desiderio di far brillare l'Italia è quell'ingrediente che ci è mancato sin dall'82 di Rossi e Conti. Lo dico con molta pacatezza e sottovoce, per scaramanzia. Io credo che anche al di fuori del calcio la nostra nazione avrebbe bisogno di questa nuova ricerca dell'eccellenza, della brillantezza e dell'orgoglio nazionale senza alcuna necessità di scadere nei nazionalismi. Se nel calcio abbiamo dovuto scoprire le assurde magagne di un ambito che per definizione di sport dovrebbe essere pulito, cosa dobbiamo aspettarci di scoprire ancora sulla scena politica e dirigenziale prima che ci decidiamo a fare i compiti a casa per gli esami dell'Europa e del mondo? Io a questo punto non me ne rammarico ma spero solo che, qualunque cosa sia, accada quanto prima. Nel frattempo, visto che i nomi dei partiti ci rubano anche gli striscioni allo stadio, FORZA AZZURRI. Saluti da Londra.

Voto Prodi e vi dico perche'

26 marzo 2006 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
ho deciso per il voto: forte della mia impronta centrista e dell'auspicio per quella moderazione credibile che manca al panorama politico italiano, ho deciso di votare Prodi. D'altra parte il paese va dove si decide al centro, non certo dove dicono i fedelissimi rossi o neri che votano per religione. Indi, ben felice di esserci. Vedo un po' di progresso: si è dimostrato che un partito/polo di centro finisce con l'essere troppo forte e corruttibile (come la Dc che per 50 anni ha massacrato il Paese). Due schieramenti, uno di destra ed uno di sinistra, con leaderhip moderata/centrista, puramente politica e non fortemente lottizzata/industrializzata sarebbe una ricetta per la stabilità e la sana alternanza di governo...quest'ultima è forse l'unica cosa buona portata dalla cosiddetta II repubblica italiana. Il problema è sempre quella classe dirigente che priva di coerenza e corrotta si mangia il Paese... spostiamoci per una volta dai due soliti protagonisti. E' intanto importante votare Prodi, ma qualunque governo ne esca, credo che durerà poco, poi se nel frattempo qualche valido centrista di sinistra si facesse vivo, sarebbe il benvenuto, ma la vedo dura... In sintesi, il liberismo destrorso va conciliato con la solidarietà sinistrorsa, voterò senza scegliere tra l'uno o l'altro ma con in mente un percorso di conciliazione. Ed allora, until next time, forza Prodi, perché se rivince Berlusconi, dobbiamo solo sperare per il Paese che la sua carriera politica non sopravviva alle sue ambizioni personali. Nel frattempo dovremmo provare a ricostituire meccanismi sani per generare una classe dirigente degna.

Notai: i concorsi, meccanismo che ruba i sogni

12 febbraio 2006 - Italians, Corriere della Sera Online

Grazie Beppe... mi sembra che ci dai dimostrazione di ascoltarci ed una flessibilità che la gerontocrazia dirigente sogna... anzi, purtroppo non la sogna neppure. Il tono delle tue lettere sui notai erano più difensive in passato. La tua di oggi 9 febbraio mi sembra bilanciata, mi fa riflettere e riconsiderare la classe. «Il loro nemico è il futuro». Per il bene della nazione speriamo che sappiano trasformarsi e tornare ad essere utili in uno scenario completamente diverso. Mio padre perse la possibilità reale di diventare Notaio quando per motivi familiari cominciò a lavorare pur non rinunciando alla preparazione. Ricordo con affetto la sua grafia piena di passione quando preparava i temi. Ricordo i suoi ritorni dai tre giorni di concorso, esausto e speranzoso. Ricordo una gioia che non arrivava mai. Al di la dell'onestà o meno, penso che i concorsi (non solo quello notarile) siano un meccanismo sbagliato che hanno rubato e rubano tante vite e sogni. I concorsi sono statisticamente ingiusti perché cercano di introdurre nella soggettività di giudizio una classificazione oggettiva su un numero troppo alto. In verità, è solo un comodo gioco con la vita delle persone. Concedo l'attenuante beneficio del dubbio e spero che sia solo un gioco involontario. Saluti cordiali da Londra.

Omologazione italiana

13 febbraio 2005 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe/Italians,
leggo la risposta alla lettera sui «motivi per non tornare in un bellissimo posto» (Carlo Santulli, 24 gennaio). Concordo quasi su tutto: il posto è bellissimo, il cibo non lo batte nessuno e il vino è buono (nel giro di un paio d’anni siamo una nazione di sommelier, mi pare di capire). Tuttavia, che i modi siano piacevoli e la gente stimolante mi sembra un falso mito. Che l’italiano sia un po’ maleducato lo si vede da tutte le cose che non funzionano, dall’impiegato indolente al cittadino o utente menefreghista e irragionevole. Lo si vede dagli schiaffi che ci si tira in TV e dai politici ed elettori su cui non ho bisogno di dilungarmi. Stimolanti? Nel luglio 2003 sono tornato in Italia per sei mesi con una gran voglia di restarci. Uno dei motivi che mi ha incoraggiato a ripartire è che la gente mi diceva davvero poco. In Italia ci vestiamo bene ma tutti uguale. Allo stesso modo abbiamo i nostri forti e bei caratteri, ma le tipologie sono poche, ben preconfezionate, autorigeneranti e soprattutto noiose. Penso che le nostre strutture di crescita educativa e professionale ci rendono monotoni se vogliamo avere un’opportunità minima di successo, penso agli anni per laurearsi o per fare un concorso pubblico o per passare un esame professionale dopo anni di sfruttamento da praticante. E’ vero, secondo me ci sono persone meglio erudite che nella maggior parte dei Paesi europei. Se poi c’è abbastanza apertura, quell’erudizione diventa cultura sopraffina, ma non è la norma. Se guardo alla mia generazione (ho 33 anni), le cosiddette persone di successo in Italia (oltre a vivere ancora con i genitori) sono tutte persone a senso unico. Ingegneri dentro e fuori, notai dentro e fuori, accademici dentro e fuori, e così via. Non interessanti, ma pieni di schemi e prosopopea alle quali non sanno resistere neppure loro. Io cerco di prendere il meglio di questi due mondi tra la gente e il bel lavoro di Londra e il mare di casa mia vicino Napoli. Lo faccio e ci soffro perché a tornare non sopporto di sopportare. Poi mi pongo una domanda: dove farei crescere i miei figli? Come farò a far sì che un uomo/donna abbia l’opportunità di esplorare il mondo e le proprie potenzialità conservando dentro un così forte senso di origine? Niente illusioni però, il meglio di ciò che abbiamo non ce lo siamo guadagnati. Saluti da Londra.

Aristocrazia dirigenziale

12 giugno 2004 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
sono sorpreso di non trovare lettere sull'evento londinese (28 maggio) che ha coinvolto te e 150 Italians, è stato interessante ascoltarti e sentire a voce le tue idee e i tuoi aneddoti. A volte dalle tue risposte via internet si legge una categoricità un po' antipatica e ho notato con piacere che per lo meno il tono è meno categorico dei contenuti soprattutto nell'ironia e per la prontezza. Lo stile divagatorio di cui sei rimproverato in famiglia è un punto positivo. Ci sono avvezzo anch'io ed è a volte un problema lavorando nella linearità anglosassone ma il «valore aggiunto» c'è: è parte di quel fattore differenziante che avvantaggia noi italiani nello sprint finale con gli altri - purché abbiamo fatto i compiti a casa e ci siamo sforzati di essere affidabili e puntuali. Interessante il discorso sulla «classe dirigente» e il bisogno che essa abbia una vera scuola in Italia. Sono d'accordo purché questa scuola non sia un'élite in partenza come la Bocconi dove laurearsi costa molto di più. L'élite deve essere una di arrivo per spessore culturale e non sociale, un po' come quella creata dal 10% di italiani che leggono i quotidiani. La speranza è che quel 10% cresca e che l'élite diventi meno tale perché solo così a mio giudizio si diventa un Paese con cultura, consapevolezza e senso democratico. La classe dirigente italiana del futuro nasce nelle famiglie dei nostri medi imprenditori. Spesso, ma non sempre, sono ragazzi viziati, senza senso del sacrificio e sovrastati da figure a metà tra mito e realtà di padri padroni. In proposito segnalo l'articolo sull'Economist del 14 maggio sull'elezione di Luca Montezemolo a presidente di Confindustria. Un passo avanti anche agli occhi della comunità internazionale. Purtroppo ancora un elemento tanto bravo quanto di estrazione aristocratica. Discorso lungo, ma un passo avanti rispetto a D'Amato. Infine, mi spiace aver dovuto lasciare la serata tra cocktail fantasma e spazi non disponibili. Non vorrei si stabilisca a priori un'élite di coloro che hanno l'opportunità di parlarti direttamente, ma apprezzo gli sforzi e le difficoltà di coloro che hanno organizzato e li ringrazio. Per fortuna era una bella serata (su standard britannici s'intende). Sono andato a bere un drink in riva al Tamigi pensando all'Italia e a noi italiani. è utile tornare? Serviamo lì?

Risposta di Beppe Severgnini: Tu scrivi, Giuseppe: «A volte nelle tue risposte via internet si legge una categoricità un po' antipatica». Io rispondo: a volte mi girano le scatole, e lo faccio capire (penso sia bene così, per il mio fegato; e credo che qualche sfogo renda il posto meno noioso). In quanto alle lettere post-Londra, ne sono arrivate diverse, ma erano soprattutto lettere di ringraziamenti, comprese quelle degli organizzatori Giancarlo Pelati (www.italiansoflondon.com) e Matteo Rizzi (www.italiansonline.net), ai quali faccio qui i miei complimenti: i loro siti stanno diventando sempre più ricchi e utili, e sono contento che "Italians" produca risultati del genere (sto perfino pensando di collegarli stabilmente al sito-base, in qualche modo). Ad altri ho risposto privatamente: sono grato a tutti delle belle parole, ma non possiamo trasformare "Italians" in un'autocelebrazione collettiva..!

Spaventare i fumatori non serve

16 maggio 2004 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe, cari Italians,
All'inizio del 2003 ho letto un libro: «The easy way to stop smoking», scritto da un ex contabile britannico di nome Allen Carr. Non so se sia tradotto in italiano. L'ho letto perché un amico entusiasta mi ha detto come avesse trovato facile smettere grazie a quel libro e per le opinabili statistiche di successo al 95%. Ho resistito, mi sembrava una sciocchezza un libro per smettere di fumare e poi l'ho letto. Senza tergiversare sono andato al punto e ho smesso. Niente che non sapessi già, solo una maniera ordinata di esporlo e un «trigger» per un processo addirittura piacevole come qualsiasi processo che liberi una persona da una schiavitù dannante. Il contabile, ex fumatore accanitissimo per 30 anni, non dice niente di tutto quello che i medici o i «no smoking day» o quelli che vendono pastiglie alla nicotina amino raccontare. Far paura ai fumatori non serve. Forse serve solo a scoraggiare chi non ha mai cominciato, ma è una tattica paternalistica eventualmente efficace sui giovanissimi che però, si sa, vogliono sempre sfidare e contraddire. Fumare non è bello o «piacevole», è una combinazione di dipendenza chimica e mentale e ogni fumatore lo sa per quanto possa testardamente negarlo. E' una trappola incredibile, e i puristi anti-fumo o ex fumatori frustrati si accaniscono con estremismo ingiustificato contro i fumatori che in realtà sono poveri disgraziati in cerca di un modo di uscirne anche quando non lo ammettono con se stessi. I fumatori non sono persone meno intelligenti dei non fumatori. Dal punto di vista fisico e mentale sarebbero semmai costituzionalmente più forti perché riescono a farsi piacere una cosa che fa schifo al gusto e che provoca letteralmente un principio di soffocamento alle prime esperienze (ci vuole un fisico bestiale, anche per bere e per fumare, diceva Carboni). Smettere di fumare non è una questione di forza di volontà. Tanto vale continuate a fumare. Il rischio di ricaderci è elevato anche se molti ci sono riusciti. Sono quelli che s'incavolano violentemente con i fumatori non curati e che fanno bene a non riprendere. Insomma, per non tirarla troppo alle lunghe, non fate le campagne serie contro il fumo. Fate le campagne serie in favore dei fumatori e aiutiamoli a smettere.

Fiat e Alitalia: le storture del sistema

27 aprile 2004 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe e cari Italians,
Una riflessione. Oggi a Melfi scontri tra manifestanti e polizia. Lo Stato si e’ "prodigato" a pompare quantita’ impossibili di soldi per finanziare cassa integrazione e risanamenti di un’azienda (la Fiat) che a questo punto quasi non avrebbe motivo di esistere. Un Paese come l’Italia, senza risorse e molta inventiva puo’ fare le Ferrari, Maserati, Lamborghini ma non le Fiat, a meno che decida di realizzare un prodotto effettivamente innovativo per quella classe, ed imparare su larga scala a fare i conti con la competizione. La Fiat non va, da tanto, e le mega manovre che ci sono sotto sono il frutto dei tempi in cui Agnelli possedeva il Paese e comandava. Il proprietario adesso e’ cambiato ma il governo ora pompa soldi all’Alitalia. Esempio dall'estero: vi siete mai chiesti perche' la British Airways che e’ stata colpita ancora piu’ fortemente dalla crisi combinata dell’11 Settembre e dall’ascesa delle linee a basso costo, oggi e’ in forte crescita? Il governo britannico non ha pagato niente. Vero, la BA ha licenziato a partire dai manager per finire col personale di terra e di volo. Hanno rinunciato al Concorde. Chi e’ restato ha lavorato un po’ di piu’ ed ora puo’ respirare, e chi e’ stato mandato via con scuse e buonuscita, ha trovato il modo di riconvertirsi in un’economia che da’ seri segni di ripresa. Vogliamo metterci a lavorare sul serio? "Serio" significa in maniera etica e con senso di responsabilita’. Esistono questi "valori" nel Paese piu' cattolico del mondo? Si capisce che il garantismo non e' seme di serieta' oltre al fatto che e' necessaria una "seria" regolamentazione dei contratti dato il cambiamento della natura del lavoro? Purtroppo pero’ da un lato i condottieri non sono cambiati e c'e' poco da fidarsi. Dall’altro chi li contrasta non ha inventiva e fa la resistenza partigiana. Questi li accuso piu' dei primi. Siamo sempre allo stesso punto: chi possiede l'Italia e gli italiani (perche’ abbiamo l’istinto per il padrone) arrangia, concupisce, si ammaniglia, clientelizza. Ma il fatto peggiore e’ che i tanti che l’Italia non la posseggono non dicono altro che il fatidico "qua’ cosi’ e’!" e fanno gli scioperi. Fa male vederlo perche' poi succedono gli scontri a Melfi, i casi "Carlo Giuliani": ci perde chi non c'entra e si resta indietro a strumentalizzare.

Connivenze italiane, professionalita' inglesi

26 gennaio 2004 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe, cari Italians,
faccio seguito all'articolo "Quando le connivenze conducono al baratro" (22 gennaio). Sono d'accordo, e sicuramente la giovialità e capacità di relazione italiani sono effetto e causa della commistione tra amicizia e connivenza. Riassumerei il problema in una frase: "mancanza di professionalità". Farà male sentirlo, ma in Italia siamo poco professionali perchè la deontologia professionale non ha "owners" nel panorama italiano. L'ho scritto altre volte con riferimento alla mancanza di cultura d'impresa e lo ribadisco ancora: il mondo del lavoro italiano porta per sistema nella classe dirigente malsani esempi di crescita (fatte le dovute eccezioni). Gli inglesi che vengono considerati freddi e socialmente difficili sono forse un estremo non auspicabile ma di certo il più alto esempio di professionalità che io conosca. Il problema italiano è nell'impossibilità delle persone di seguire le proprie ambizioni professionali. Se tutti lo facessimo saremmo piu' attaccati al nostro lavoro e lo porteremmo avanti con professionalità ed onestà per amor proprio. In Italia le professioni sono quasi un accidente e modificare la propria carriera è un'impresa ad alto rischio a partire dalla scelta universitaria, se non prima. Moltissimi giovani preferiscono la vicinanza alla famiglia al "luna park" della crescita senza sapere cosa si perdono. Vero, i salari in Italia sono troppo bassi per incoraggiare il movimento: ed allora aggiustiamoli. Per tornare agli inglesi, è vero che per sciogliersi hanno bisogno di qualche gin&tonic, ma vi assicuro che non importa cosa accade al di fuori del contesto lavorativo, quando si torna all'esercizio delle proprie funzioni conta solo un fatto: lavorare male e concedere favoritismi crea un disservizio in ciò che rappresenta la propria identità di cittadino e professionista. Sento piu' inglesi che italiani lamentarsi del proprio lavoro, ma non lasciatevi ingannare: gli inglesi hanno modo di cambiare e possono permettersi il lusso di mostrarsi scontenti. Gli italiani no. Ed allora "we go with the flow/seguiamo la corrente" finchè giunge la rovina. Ci sono dei provvedimenti precisi che andrebbero presi, ma la classe politica è quella classe dirigente di cui sopra. Quello che mi spiace è che ci sono tanti italiani che la pensano come me, e siamo costretti a star via dalla nostra nazione o ad ingoiare la pillola amara del quieto vivere. Saluti da Londra

Aziende: manca la cultura dell’impresa

19 novembre 2003 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
volevo aggiungere alla discussione sui disinteressati manager under 40. Penso che il grosso problema in Italia sia la mancanza di cultura dell’impresa, lo stile manageriale dei Senior Managers (quelli over 40) e la struttura del mercato del lavoro. Nelle tante aziende medie e piccole la gestione delle risorse è spesso di tipo feudale. L’imprenditore è una figura mitologica la cui personalità permea ogni centimetro dell’azienda. Gli imprenditori sono spesso quelli in grado di prendere i finanziamenti e non quelli che sanno come gestire e trasformarsi con un organismo complesso come l’azienda. Hanno la vista corta e gestiscono con autorità e falsa autorevolezza. Nelle grandi aziende e multinazionali, i Senior Managers sono figli del sistema che li ha messi in quel ruolo e la coercizione sulla direzione di un’azienda prevale sul dialogo e la trasparenza d’intenti. Una trasparenza impossibile senza far uscire tanti scheletri da tanti armadi. In più la struttura del mercato del lavoro forza una fidelizzazione della risorsa all’azienda. E’ più comodo valersi delle garanzie del diritto del lavoro che cercare altrove un lavoro più vicino alle proprie aspirazioni ed un ambiente più consono. Si lavora fino alle 10 di sera perché mancano le risorse ad un’azienda che non può assumere senza dover sottoscrivere un matrimonio di presunto interesse per 35 anni. In una frase, mancano tutti gli ingredienti necessari per creare l’unica grande competitività aziendale trascurata: la desiderabilità di un’azienda rispetto alla potenziale forza lavoro. Così si attraggono le migliori risorse. I datori di lavoro non ci corteggiano per le nostre capacità, ma ci fanno un favore a darci da vivere per 35 lunghi anni. E allora "così sia" dice il lavoratore, manager o no. La chiave è: creare una cultura dell’impresa e del lavoro in cui quando le cose vanno bene, vanno bene per tutti. Lo stesso vale quando le cose vanno male. Ed allora vadano anche i "downsizing" ma se si crea lo spazio per cambiare. I manager disinteressati di oggi sono la classe dirigente di domani. Spero che senza lavorare troppo s’interessino a modificare questa cultura manageriale prima che i soliti pochi furbi monopolizzino come al solito il potere. L’Europa preme, ed i Paesi più avanzati si sono già trasformati, noi rischiamo l’estinzione economica.

Da "cervello in fuga" a "testa in ritirata"

18 Ottobre 2002 - Italians, Corriere della Sera Online

Caro Beppe,
seguo questo spazio da sei anni, quando era ancora curato da Gianni Riotta. Era da tanto che non scrivevo, ma dopo gli ultimi messaggi sfiduciati di tanti compagni di ventura che vorrebbero tornare in Italia, non riesco a far a meno di raccontare la mia di sfiducia. Sono "emigrato" nel Regno Unito nel giugno del '96, il giorno dopo la mia seduta di laurea in ingegneria. Con un colloquio sono riuscito a ottenere la posizione di assistente di ricerca presso l'Università di Nottingham dove ho ottenuto un PhD nel 2000. Un'esperienza stupenda. A pochi mesi dal completamento dei miei studi ho cominciato a cercare lavoro in Italia. Il mio sogno: lavorare nell'università italiana. Neanche a dirlo. Il mio relatore di tesi (maestro di scienza e vita) è tristemente scomparso e con lui i "legami" con l'universita' italiana. Chiaramente qui "all'estero" si parlava di tre possibili posizioni da post-doc tra Nottingham, Cambridge e Chicago. Non sarei tornato mai più. L'Italia mi mancava e il passo esasperatamente lento del mondo accademico mi aveva stancato. Ho deciso di cambiare strada, ma trovare lavoro nell'industria italiana è stato impossibile. Ho fatto l'errore di chiedere lo stesso stipendio che guadagnavo da universitario in Inghilterra, ma i 'dispensatori' di lavoro italiani mi offrivano posizioni da neolaureato. Ancora una volta non ho voluto cedere e con quattro offerte di lavoro, ho deciso di lavorare qui a Londra dove da due anni mi occupo di management consulting con passione e con i premi per i miei bei risultati. Ora però sono davvero pronto, voglio tornare in Italia, e ricomincia il dilemma. Ho paura della caduta dal mondo del lavoro inglese a quello italiano. Ovviamente dovrei accontentarmi di meno della metà di quello che guadagno ora, ma sarebbe il minore dei mali. Dovrei sopportare l'ottusità becera di direttori megagalattici di fantozziana memoria. Dei protetti e protettori, rete delle promozioni e sviolinate. E' triste. Sento che per tornare in Italia devo declassarmi da 'cervello' in fuga a 'testa' in ritirata. C'è qualcuno là fuori, tra gli Italians, che dopo una lunga esperienza di studio e lavoro all'estero sia riuscito ad affermarsi con successo in Italia? O magari qualche dirigente d'azienda che ci spieghi questo mistero? Vi prego, ditemi che ci lamentiamo per nulla. Qual è il segreto?

Saturday 1 March 2008

La politica italiana

Cosa voglio raccontarvi? Quello che penso della politica italiana, di quello che sta succedendo in questo momento alla vigilia di una nuova tornata elettorale.

Mossa coraggiosa quella di Veltroni di correre da solo. Mossa astuta e rischiosa quella di Berlusconi di formare un nuovo partito. Coraggio, astuzia o necessita'? Indubbiamente nell'ultimo anno o due la protesta degli italiani ha trovato spunti e forme organizzate nuove e piu' convincenti del solito.

- Gian Antonio Stella con "la Casta" ha creato un 'benchmark' sui privilegi di una classe dirigente che usa la cosa pubblica come una giostra.
- Roberto Saviano con "Gomorra" ha raccontato in parole semplici quello che chiunque come me sia di Napoli e dintorni ha sempre saputo ed esposto il nervo della camorra imprenditoriale.
- Marco Travaglio ha scientificamente portato alla ribalta il lavoro dei magistrati e con precisione matematica mette in luce le contraddizioni, gli assurdi e le scorrettezze dei potenti di destra e di sinistra.

Ma il fenomeno piu' importante e' quello iniziato in rete. Ormai piuttosto che il telegiornale, i giovani con un minimo di familiarita' informatica e che presto o tardi porteranno avanti il paese, guardano youtube. Massima espressione di queste reti virtuali e' il movimento di Beppe Grillo che col suo blog ed attraverso le sue iniziative ha mobilitato l'attenzione su scala nazionale.

E' grazie a questi fenomeni che Berlusconi e Veltroni si sono sentiti obbligati ad creare i partiti unici. E' grazie a questi fenomeni che Veltroni ha (per lo meno promesso) di tirare fuori i condannati dalle sue liste. Lo stesso Fini ha dovuto giocare le sue carte migliori per le sue mire di leadership...aspettando Silvio.

Anche se i grillisti se ne lamentano, il fatto stesso che i programmi di governo tra destra e sinistra non siano poi cosi' diversi e' un risultato dell'azione loro e di altri. In fondo accade in tutti i paesi efficientemente bipolari anche se certe differenze di approaccio sono profonde. In senso positivo significa che possiamo scegliere quali siano le persone migliori per fare le cose che bene o male vogliono tutti anche se chi (come Grillo & Co) si oppone comunque dira' che non sono mai abbastanza o che non sono le cose giuste.

In realta' Grillo & Co hanno capito che il programma e' di lungo termine, che sarebbe un peccato limitarsi a raccogliere un po' di inerzia popolare per lo scoramento nazionale un po' come fece Berlusconi dopo "mani pulite". Hanno capito che la democrazia "bottom-up" (dal basso) e' ormai computazionalmente possibile grazie alla rete ma bisogna dare tempo al tempo.

Speriamo anche che capiscano che la democrazia si fa coi dialoghi e non col monologo, sembra di si' a giudicare dal fatto che con le liste civiche comunali si siano orientati all'azione costruttiva. Una volta creato il substrato dal basso, bisogna pero' saper riprendere il discorso anche dall'alto con una grossa differenza e cioe' che forse stavolta la democrazia "top-down" (dall'alto) con le sue caratteristiche d'immediatezza si riconciliera' con quella "bottom-up" cha ha avuto il tempo di realizzarsi e sostanziarsi. La democrazia della rete e quella in cui e dal basso che si comanda ed un "leader" e' un mezzo della gente non un fine per se stesso (Ghandi per capirci, non certo Berlusconi).

Insomma, forse un po' col naso turato ma credo che votero' per promuovere un discorso "top-down" che credo e spero perdera' per questo giro. Spero che perdera' perche' cio' gli evitera' false illusioni e gli dara' l'opportunita' di capire cosa sta succedendo "bottom-up". Di aggiustarsi per essere un mezzo della gente che s'incontra attraverso l'immediatezza della leadership con i bisogni veri (bottom-up) della gente.

Mentre chi perdera' avra' il tempo di fare cio', chi vincera' fara' di tutto per fermare (in vano) l'avanzata del "bottom-up". Aspettatevi censure e cogeneri, ma non ce n'e' per nessuno, la rete e' inarrestabile.

Il primo video

Qui' mi potete vedere col mio bellissimo bambino di 2 mesi e mezzo, Alfonso Luca:
http://it.youtube.com/watch?v=KtJvqtXtFqM

Welcome to my blog

Hi,
I am happy to start my blog today - I hope it will become something