Saturday 4 October 2008

Le 7 del mattino a Londra

Sul cemento dei marciapiedi si esegue spontaneamente una sinfonia di tacchi a cui manca una frequenza, quella dei miei passi: sento l’urgenza di aggiungerli per completare la composizione. Cielo freddo e azzurro, fuori dalla casa calda di mia moglie e mio figlio respiro al mattino l’aria affilata della citta’ di Londra. Un attimo dopo sono nel flusso che da Fulham confluisce verso gli snodi del trasporto urbano. Sul piano superiore dell’autobus mi siedo per immergermi nella lettura o per fissare lo stesso fenomeno che da sinfonia diventa film muto. In metro e’ piu’ difficile leggere ma obbligatorio scrutare la gente che popola un film non solo muto ma anche immobile. Gli unici suoni provengono da qualche ipod a volume troppo alto e gli unici movimenti sono onde dettate dal moto del vagone. Mi chiedo come ondeggino invece i pensieri di ogn’uno, come sibilino insieme ai freni sul metallo i sogni e le ambizioni di donne ed uomini che si sentono (a torto o ragione) nel cuore della civilizzazione. Stringo verso di me il mio libro e mi aggiungo alla schiera di presbiti forzati che leggono in ogni condizione. Giunto a destinazione, dopo un cambio a Westminster sono a London Bridge. Le persone escono in fila accolte da passeggeri schierati ai lati delle porte che sperano di entrare a prender posto. Comincia la marcia verso l’ufficio. A guardarli cosi tutti ordinatamente e seriamente immersi nei propri pensieri, qualcuno ha visto un funerale. Salgo per le scale mobili della metro, a volte sulla sinistra a passo svelto per mettere in moto corpo e spirito. Altre volte fermo sulla destra a fissare i volti di quelli che discendono nel dedalo del trasporto sotterraneo immaginando quello che di grande ed unico c’e’ in ciascuno di loro. Cielo freddo e grigio, sono fuori dalla stazione, l’aria mi graffia di nuovo i polmoni, e’ ora di andare a fare qualcosa di buono.