Monday 3 March 2014

Economia italiana: vizio o virtu'?

Dunque, la situazione e' questa. L'italia e' un paese che non va a causa di due vizi:

  1. Non si affronta la questione morale. Mi riferisco al fenomento che sta alla base della corruzione e dell'illegalita' cosi' diffuse nel nostro paese.
  2. L'assenza di una vera economia di mercato con una porzione importante di economia finanziaria ed uno sguardo favorevole alla globalizzazione.

Il primo e' il problema dei problemi rispetto al quale non c'e' riforma elettorale, costituzionale o del lavoro, della giustizia o del fisco che tenga. Rimarremo nella migliore delle ipotesi fermi la dove siamo e cioe' in questo declino neanche tanto lento che lascia imprese fallire e famiglie a dormire in case fredde. Continueremo a tollerare l'egemonia di chi ha stuprato questo paese fino a produrre in termini di danno economico meta' di tutta la corruzione europea. Si tratta delle tre mafie e della nostra tolleranza nei loro confronti nonche' della collusione con la politica fino ai massimi livelli. Parafrasando Falcone, esiste una cultura mafiosa. E' un certo modo di fare italiano, anche quando salti o fai saltare una fila. Anche quando l'amico ti conserva il posto in aula all'universita'.

Voglio pero' soffermarmi sul secondo vizio che adduco nel trovare le colpe della nostra condizione e voglio farlo cercando di mettere sulla carta due possibilita': quella di correggerlo contro quella di farne una virtu'.

Adottare in pieno l'economia di mercato non e' un tema indipendente da quello dell'illegalita'. A ben guardare, l'economia di mercato e' una delle ricette possibili nonche' quella scelta dal mondo occidentale per affrontare la questione morale. La teoria e' che un'economia di mercato vera, non è in grado di sopportare troppa corruzione: nel momento in cui le transazioni economiche sono prevalentemente delle transazioni private in un regime di competizione reale finalizzata al profitto, non è più accettabile favorire soggetti che non non siano i più adatti al compito. Quanto meno non è possibile favorire un qualunque soggetto mettendo a repentaglio la qualità del risultato. Ne consegue che non si possono affidare appalti alla mafia, non si possono favorire amici, parenti o chi conviene magari ai fini del consenso quanto meno non a discapito della qualità di ciò che si cerca di realizzare incluso cio' che si realizza per il bene comune.

È l'etica del profitto. Fin qui sembra piuttosto ragionevole, vi pare? Non male come metodo se non fosse per tre motivi.

Il primo è che per definizione di competizione, non possono vincere tutti e quindi è necessario che una parte di società perda sempre (ed e' sempre la stessa per motivi che qui' tralascio).

In secondo luogo ed in parte per il motivo precedente, chi ha posizioni di privilegio finisce poi per determinare il mercato con operazioni che favorisce la sua parte (e.g.: scandalo del Libor nel Regno Unito e piu' di qualche sospetto nei magheggi recenti sul prezzo dell'oro).

Ma il terzo e piu' importante motivo, è che l'etica del profitto si scontra presto con le esigenze dell'essere umano. E' come se la corporazione diventasse la macchina creata dall'uomo che finisce per dominarlo (e.g.: se non sprecassimo cibo, perderemmo due punti di PIL; se una casa farmaceutica ricevesse approvazione per un farmaco mentre ne ha uno migliore già pronto, sfrutterebbe comunque il primo farmaco finche' non produce il profitto inteso)

E dunque se abbracciare l'etica del profitto e' la soluzione, bisogna riconoscere che essa contiene in se un meccanismo di conservazione del sistema contro l'interesse dell'umanità ed in favore di pochissimi soggetti. È la strada dei governi da Monti in poi e che verrà ulteriormente perseguita da Renzi e che per motivi culturali abbiamo sempre tenuto lontana a dispetto delle promesse di "rivoluzione liberale" dei precedenti vent'anni, assolutamente non condonabili come un periodo migliore.

E trasformarlo in virtù? L'Italia è un paese con un risparmio privato pari a 5 volte il debito pubblico proprio perché non abbiamo abbracciato una vera economia di mercato e siamo rimasti cauti sull'uso della finanza speculativa in confronto ad economie cosiddette "più avanzate". Stiamo pagando il prezzo di questa insubordinazione ai dettami del sistema economico ma che contiene in se la qualcosa di virtuoso se si accetta che il sistema economico vigente e' uno che crea grandi disugaglianze e che sacrifica la dignita' umana davanti alla possibilita' del profitto.

Cioe' usare l'etica del profitto per controllare l'illegalita' e' come dire ad un bambino: ti compro un giocattolo solo se studi. Come se studiare non fosse doveroso e meritevole d'impegno. Come se operare nell'ambito della legalita' avesse bisogno di un ritorno economico per diventare un dovere.

E' possibile invece avere il coraggio di prendere in mano il nostro destino ed avere la "smisurata ambizione", per usare una frase di moda, di dimostrare al mondo come si può concepire un economia più sostenibile ed in favore della crescita dell'uomo e non del PIL per come e' definito?

La verita' e' che dobbiamo liberarci da vincoli impossibili ed attuare le riforme di cui l'Italia ha bisogno per poterci investire, ed investire innanzitutto capitali italiani, che ce ne sono. Capitali per cambiare l'architettura industriale del paese, per creare un alternativa all'industria pesante in un paese che non può più pensare di fare economia con l'acciaio ed il cemento e che nonostante i suoi indiscutibili vantaggi storici e geografici fa meno turismo di Inghilterra, Spagna, Francia e Germania. L'uso responsabile di danaro pubblico per le infrastrutture, soprattutto quelle energetiche, delle telecomunicazioni e dei trasporti che abilitino le nuove industrie e ci liberino in parte tangibile dalla dipendenza totale dagli idrocarburi (Ucraina docet?).

È un economia che potrei chiamare di benessere pubblico che deve definire nuovi indici e parametri per misurare la crescita. Un economia che si ricordi che il danaro fu introdotto per liberarci dal baratto e non per renderci schiavi di chi lo elargisce generandolo dal nulla ad un interesse di suo vantaggio.

L'etica del benessere pubblico è forse un'idea vecchia quanto il mondo. L'etica dell'economia di mercato è un valido passaggio da consegnare alla storia oppure la nostra condanna a farci la guerra, ad affamare innocenti che non sono più solo nel terzo mondo perché l'Africa è arrivata da noi sia via Twitter che coi barconi della disperazione. E perché noi diventiamo sempre un po' più Africa via via che le ricchezze ed il privilegio si globalizzano verso chi è sempre stato davanti.

La scelta e' questa e forse dovremmo mandare in Europa gente che racconti questa storia invece di attori, cantanti e politici ormai impresentabili come se il parlamento europeo fosse un cimitero degli elefanti senza proboscide come Mastella, De Mita, Zanicchi, Barbareschi e compagnia bella.

Le prossime elezioni europee sono importantissime, sono un'occasione unica per mettere in quei palazzi dei rappresentanti che siano veramente pronti a sfidare questo sistema con in mano un'alternativa costruttiva. Per dare un messaggio forte alla politica italiana di riformarsi sul serio prima che di noi non resti che la disperazione.  Prima che invece di andare a battere i pugni in Europa, su quel tavolo batteremo delle scodelle vuote in cerca di un tozzo di pane.

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