“L’Italia e’ una Repubblica fondata sul lavoro” – Pensando a questa celebre ouverture della nostra costituzione, mi sono posto una domanda...e se fosse una baggianata? Vi prego, sospendete il giudizio, lo so che sembro un eretico a questo punto ma datemi una possibilita'.
La domanda sorge da questo mantra che ci viene propinato in tutte le salse del “bisogna creare nuovi posti di lavoro se vogliamo uscire dalla crisi”.
Io penso che quando i padri costituenti scrissero quel celebre incipit, avevano un’idea di lavoro come realizzazione esterna del potenziale umano celato all’interno di ciascuno di noi. Come possibilita’ per ogni donna ed uomo di questa bella e prosperosa nazione di mettere i propri talenti, qualunque essi siano, e la loro buona volonta’, al servizio del collettivo per prosperare ed esercitare il diritto alla felicita’ (e non solo alla sua ricerca come recitano gli americani).
Questi ideali si sono scontrati con quella che abbiamo l’ardore di chiamare “realta’” ed il fatto che servono piu’ ingegneri che cantanti da top 10 o piu’ spazzini che controllori di volo. Io penso che ci sia un grosso equivoco in questa interpretazione apparentemente plausibile secondo la quale si e’ creata attraverso la competizione, un mercato del lavoro non appena sono emerse le cosiddette "necessita’ dell’umanita’".
A volte ricordare la storia aiuta. Il curriculum scolastico americano diventato il faro del pianeta, fu scritto all’inizio del XX secolo da tre uomini coi seguenti cognomi: Rothschield, Morgan e Rockefeller. Due banchieri ed un petroliere. Come tutte le grandi figure di potere, sicuramente con luci ed ombre ma sicuramente protagonisti di un mondo diverso. Il petrolio era prospettiva di inimmaginabile progresso (come lo e’ stato per una piccola parte del mondo). La finanza poi era ancora un posto in cui un investitore incontrava uno pronto ad indebitarsi per un obiettivo. Il finanziere forniva una visione esperta del rischio ed una forma di affare che fosse ragionevole per le parti.
Dunque, tornando ai nostri tre uomini, essi non erano certamente guidati dall’afflato dei nostri padri costituenti ma per lo meno avevano motivi ragionevoli di pensare che istruire in un certo modo le generazioni future, avrebbe dato luogo ad enormi vantaggi per l’umanita’ (quella fortunata che sarebbe nata nella parte giusta del mondo).
Chi oggi invoca piu’ posti di lavoro e resta legato ai paradigmi vigenti e’ vittima di un grosso equivoco di cui sono consapevoli soprattutto coloro che hanno il minor interesse a risolverlo. L’equivoco risiede nel fatto che il nostro mondo del lavoro e’ il frutto di un sistema educativo che si fa ad una visione del mondo ormai decaduta nell’incombente crisi energetica e nel crollo progressivo del sitema monetario, di economia finanziaria e di economia reale. Equivoco aggravato da un’altra barbarie. Quella di considerare il genere umano come veicolo per la realizzazione di cio che serve ad un sistema elitario di interessi quale l’infrastruttura socio-politico-economica-culturale emersa nell’era del petrolio.. e raccontare che tutto cio’ serva all’umanita’.
“L’Italia e’ una repubblica fondata sul talento umano dei suoi cittadini” – come suona? Alcuni da destra dicono che il diritto al lavoro non esiste...io potrei anche discuterlo seriamente se ci decidiamo a riconoscere il diritto ad esprimere i propri talenti e le proprie passioni. Perche’ cio’ accada, dobbiamo insegnare ad i nostri bambini cose fondamentalmente diverse perche’ il mondo del lavoro sia in un futuro non troppo lontano, la creatura dei nostri talenti e non un mercato al servizio di pochi. Bisogna riprenderci il nostro destino ed avere il coraggio di mostrare la via.
Il lavoro rende liberi, dicevano ad Aushwitz. Il lavoro nobilita l’uomo, dice chi si riduce ad esso. Il lavoro ti realizza, dice chi vuole ridurti ad esso.
Io dico che il lavoro non e’ una ricetta, e’ la pietanza finita il cui sapore dipende dalla decisione o meno di essere noi stessi. Come individui, come famiglie, come comunita’, come citta’, come nazioni, come pianeta.
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